Roma - Accoltellato fuori da scuola. Uno studente di 15 anni della scuola media Giovanni Falcone di San Vittorino Romano è stato accoltellato a un fianco da un compagno di scuola romeno, di 14 anni, durante un litigio. Lo studente ferito, ricoverato all’ospedale romano Sandro Pertini, non è in pericolo di vita. Il ragazzo romeno è stato fermato dai carabinieri della stazione di San Vittorino Romano ed è stato interrogato dai militari, che poi lo hanno fermato. Ad avvertire i carabinieri sono stati alcuni professori della scuola media di via Fosso dell’Osa, ai quali gli studenti hanno raccontato della lite e del ferimento, avvenuto poco prima dell’orario di entrata.
Ricoverato Il 15enne ferito è stato colpito con un coltello a scatto al fianco sinistro. È stato ricoverato in osservazione, con prognosi di 30 giorni. I medici hanno effettuato una tac per capire se la coltellata abbia sfiorato organi vitali. Dopo l’esito negativo dell’esame, è stato deciso un ricovero di alcuni giorni in osservazione. All’ospedale Pertini sono arrivati i genitori dello studente.
L'arresto Lo studente romeno è stato arrestato con l’accusa di tentato omicidio. Il fermo è arrivato dopo alcune ore di interrogatorio e lo studente sarà ascoltato dalla procura dei minori nei prossimi giorni.
La madre "Mio figlio non c’entra niente e non conosceva chi lo ha aggredito. Sono troppo sconvolta, in questo momento sono confusa e non voglio parlare". Lo ha detto, uscendo dall’ospedale la madre del ragazzo accoltellato stamattina a Roma davanti a una scuola. In ospedale, dove il ragazzo, fuori pericolo, è stato ricoverato, si è presentata anche la vicepresidente dell’associazione di genitori della Falcone Scuola Insieme, composta da circa 40 persone. "Abbiamo creato questa associazione - ha detto - proprio perché si erano verificati in passato episodi di violenza tra i ragazzi e qualche volta era stato necessario l’intervento dei carabinieri, ma da due anni le cose erano poi andate bene".
"Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perchè è in ciò che sta l’essenza della dignità umana". [Giovanni Falcone]
giovedì 30 aprile 2009
martedì 28 aprile 2009
lunedì 20 aprile 2009
CONTINUA L'ESCALATION DI VIOLENZA A GALLICANO! E PER QUALCUNO ANCORA E' TUTTO NORMALE!
ROMA (20 aprile) - Dal Messaggero:
Un 19enne di Gallicano, incensurato, è stato arrestato dai carabinieri per tentato omicidio dopo aver aggredito e ridotto in fin di vita un 30enne romeno colpevole di aver fatto delle avance alla sua ragazza. I fatti si sono svolti nel centro storico di Gallicano, in provincia di Roma. L'ira del ragazzo è stata provocata dalle insistenti avance fatte alla sua fidanzatina dal 30enne. Accecato dalla gelosia e dall'orgoglio, il 19enne ha sfogato la propria rabbia addosso al molestatore che si trovava già in compagnia di un'altra ragazza del posto, colpendolo ripetutamente al volto ed alla testa. Poi è scappato lasciando il romeno in una pozza di sangue. Il ferito, trasportato al pronto soccorso dell'ospedale di Palestrina, è stato ricoverato in prognosi riservata. I carabinieri hanno poco dopo rintracciato ed identificato il responsabile dell'aggressione e l'hanno portato nel carcere romabo di Rebibbia. L'uomo sarà processato dall'autorità giudiziaria di Tivoli.
Un 19enne di Gallicano, incensurato, è stato arrestato dai carabinieri per tentato omicidio dopo aver aggredito e ridotto in fin di vita un 30enne romeno colpevole di aver fatto delle avance alla sua ragazza. I fatti si sono svolti nel centro storico di Gallicano, in provincia di Roma. L'ira del ragazzo è stata provocata dalle insistenti avance fatte alla sua fidanzatina dal 30enne. Accecato dalla gelosia e dall'orgoglio, il 19enne ha sfogato la propria rabbia addosso al molestatore che si trovava già in compagnia di un'altra ragazza del posto, colpendolo ripetutamente al volto ed alla testa. Poi è scappato lasciando il romeno in una pozza di sangue. Il ferito, trasportato al pronto soccorso dell'ospedale di Palestrina, è stato ricoverato in prognosi riservata. I carabinieri hanno poco dopo rintracciato ed identificato il responsabile dell'aggressione e l'hanno portato nel carcere romabo di Rebibbia. L'uomo sarà processato dall'autorità giudiziaria di Tivoli.
sabato 18 aprile 2009
QUALCHE NOTIZIA SU PASSERANO.
L’eredità del barone Quintieri destinata ai non vedenti e finita alla Campania
Un patrimonio immenso che doveva finire in beneficenza «bruciato» dalle malefatte della burocrazia
Ecco, di seguito, un brano di «Rapaci» di Sergio Rizzo.
Il barone Giovanni Paolo Quintieri non poteva prevedere un finale più acido. Non poteva, perché quando ha fatto testamento la Regione Campania non esisteva ancora. Mai avrebbe dunque immaginato che un giorno tutto il suo sterminato patrimonio sarebbe finito nelle mani dei politici. Anche se la politica, il barone Quintieri, l’aveva avuta in famiglia. Suo padre Angelo fu deputato del parlamento del Regno d’Italia per sei legislature Mentre lui si dava alla politica, sua moglie Evelina Casalis profondeva energie e soldi per i ciechi dell’istituto Paolo Colosimo di Napoli. Il figlio seguì con tale convinzione le benefiche orme della madre al punto che alla sua morte, avvenuta il 18 agosto del 1970, lasciò in eredità ogni cosa a loro. L’immenso patrimonio della famiglia Quintieri venne perciò inizialmente assorbito dal Patronato Regina Margherita pro ciechi Istituto Paolo Colosimo. Poi nel 1979 passò tutto alla Regione Campania. E qui comincia un’altra storia. Per «tutto» si intende quanto segue.
Un enorme castello medievale, fra i più grandi e meglio conservati dell’Italia centrale, già appartenuto alle famiglie Colonna, Orsini e Rospigliosi, con intorno una tenuta agricola, a una trentina di chilometri da Roma, località Passerano: 900 ettari con oliveti, coltivazioni a mais, orzo, grano e fieno, e quasi cinquecento capi di bestiame. Una seconda tenuta agricola di 160 ettari, sempre con relativo castello, nelle Marche, a Montecoriolano, nei pressi di Porto Potenza Picena Una serie di possedimenti in Calabria. Un palazzo di 52 appartamenti costruito durante il fascismo a Roma, in via Panama, nel cuore del prestigioso quartiere dei Parioli. Oltre, naturalmente, agli arredi e alle suppellettili presenti nelle dimore. Nel 1996, quando alla presidenza della Regione c’è Antonio Rastrelli, si fa un inventario con 765 voci. Vasi cinesi. Lampadari di Murano. Tappeti persiani. Candelabri d'argento. Salotti d’epoca E quadri. Tanti da riempire una pinacoteca. Quadri di Domenico Bartolomeo Ubaldini, detto Il Puligo, pittore del primo Cinquecento. Quadri di alcuni fra i più importanti pittori del Seicento e del Settecento. Andrea Vaccaro. Giacinto Diano. Francesco De Mura. Gaetano Gandolfi. Peter Roos, alias Rosa da Tivoli. Pacecco De Rosa. Giovanni Francesco Barbieri, detto Il Guercino. Jusepe de Ribera, detto Lo Spagnoletto. E Rembrandt. Già, anche un «Ritratto di gentiluomo a mezzo busto» dipinto nel 1635 dal celebre pittore olandese Rembrandt Harmeszoon Van Rijn.
Il testamento del barone Quintieri stabilisce che il lascito serve a mantenere il Colosimo e i suoi ospiti non vedenti. Ma non dice come debba essere amministrato. Il condominio di Roma, i castelli, le ville, le tenute e quant’altro vengono quindi affidati alla Sauie, Società anonima urbana industria edilizia srl, una vecchia scatola creata dal barone proprio per gestire l’immobile di via Panama, che passa anch’essa sotto il controllo della Regione Campania e diventa la stanza dei bottoni per amministrare un patrimonio di centinaia di milioni di euro Quale però sia il rendimento di questo incredibile tesoro, è un capitolo a parte All’inizio degli anni Duemila inizi una battaglia a suon di interrogazioni condotta da un consigliere regionale di An, in seguito passato all’Udc, Salvatore Ronghi. Denuncia che l’Istituto per i ciechi ha ricevuto per vent’anni soltanto le briciole: 600 milioni di lire l’anno, per giunta soldi versati dagli enti locali e non proventi dell’eredità Quintieri. Che le pigioni sono ridicole, e porta l’esempio di un appartamento di cinque stanze al piano nobile di via Partenope affittato per anni a 85.535 lire al mese Che «a seguito di tale, a dir poco, disinvolta amministrazione », gli eredi della famiglia Quintieri hanno fatto causa per rientrare in possesso dei beni «così malamente utilizzati».
Ma Ronghi non si ferma a questo. Chiede di conoscere come sono gestite le aziende agricole, e perché 38 ettari di terreno in quella laziale sono stati affittati alla società Aviocaipoli, per realizzare una pista di volo per aerei ultraleggeri, a un canone provvisorio di 5 mila euro l'anno. Chiede di sapere il motivo per cui si spendono centinaia di migliaia di euro di consulenze. Chiede chiarimenti sulla lievitazione dei costi di alcuni appalti per sistemare locali. E cita come esempio di gestione «fallimentare » un fatto incredibile: la vendita di 30 mila bottiglie di vino Doc prodotto dall’azienda agricola marchigiana al prezzo di un euro l’una, «a fronte di un valore che va da 5,50 a 12 euro, con una perdita secca di 200 mila euro». Un quadro, quello dipinto da Ronghi stupefacente. Condito da una quantità incredibile di particolari sconcertanti, come quello di un presunto furto di 37 vacche dalle stalle di Passerano, dove secondo un’altra sua interrogazione presentata a febbraio del 2009 sarebbero morti «oltre cento capi di bestiame». Magari i suoi sospetti sulla evaporazione di alcuni beni erano esagerati . Ma è difficile da credere che un privato avrebbe gestito peggio di così tutto questo ben di Dio. E l’Istituto Colosimo, con i suoi ospiti non vedenti, sarebbe letteralmente coperto d’oro. Sapete quanti sono oggi i ciechi per i quali viene giustificata l’esistenza in vita della società immobiliare della Regione, con i suoi amministratori, il collegio sindacale, i dirigenti, i dipendenti, i contabili, le aziende agricole, i castelli, i 52 appartamenti dei Parioli, le pratiche burocratiche, gli appalti e gli scontri furiosi in consiglio regionale? Sono quarantasette, dei quali appena trentuno a convitto.
Un patrimonio immenso che doveva finire in beneficenza «bruciato» dalle malefatte della burocrazia
Ecco, di seguito, un brano di «Rapaci» di Sergio Rizzo.
Il barone Giovanni Paolo Quintieri non poteva prevedere un finale più acido. Non poteva, perché quando ha fatto testamento la Regione Campania non esisteva ancora. Mai avrebbe dunque immaginato che un giorno tutto il suo sterminato patrimonio sarebbe finito nelle mani dei politici. Anche se la politica, il barone Quintieri, l’aveva avuta in famiglia. Suo padre Angelo fu deputato del parlamento del Regno d’Italia per sei legislature Mentre lui si dava alla politica, sua moglie Evelina Casalis profondeva energie e soldi per i ciechi dell’istituto Paolo Colosimo di Napoli. Il figlio seguì con tale convinzione le benefiche orme della madre al punto che alla sua morte, avvenuta il 18 agosto del 1970, lasciò in eredità ogni cosa a loro. L’immenso patrimonio della famiglia Quintieri venne perciò inizialmente assorbito dal Patronato Regina Margherita pro ciechi Istituto Paolo Colosimo. Poi nel 1979 passò tutto alla Regione Campania. E qui comincia un’altra storia. Per «tutto» si intende quanto segue.
Un enorme castello medievale, fra i più grandi e meglio conservati dell’Italia centrale, già appartenuto alle famiglie Colonna, Orsini e Rospigliosi, con intorno una tenuta agricola, a una trentina di chilometri da Roma, località Passerano: 900 ettari con oliveti, coltivazioni a mais, orzo, grano e fieno, e quasi cinquecento capi di bestiame. Una seconda tenuta agricola di 160 ettari, sempre con relativo castello, nelle Marche, a Montecoriolano, nei pressi di Porto Potenza Picena Una serie di possedimenti in Calabria. Un palazzo di 52 appartamenti costruito durante il fascismo a Roma, in via Panama, nel cuore del prestigioso quartiere dei Parioli. Oltre, naturalmente, agli arredi e alle suppellettili presenti nelle dimore. Nel 1996, quando alla presidenza della Regione c’è Antonio Rastrelli, si fa un inventario con 765 voci. Vasi cinesi. Lampadari di Murano. Tappeti persiani. Candelabri d'argento. Salotti d’epoca E quadri. Tanti da riempire una pinacoteca. Quadri di Domenico Bartolomeo Ubaldini, detto Il Puligo, pittore del primo Cinquecento. Quadri di alcuni fra i più importanti pittori del Seicento e del Settecento. Andrea Vaccaro. Giacinto Diano. Francesco De Mura. Gaetano Gandolfi. Peter Roos, alias Rosa da Tivoli. Pacecco De Rosa. Giovanni Francesco Barbieri, detto Il Guercino. Jusepe de Ribera, detto Lo Spagnoletto. E Rembrandt. Già, anche un «Ritratto di gentiluomo a mezzo busto» dipinto nel 1635 dal celebre pittore olandese Rembrandt Harmeszoon Van Rijn.
Il testamento del barone Quintieri stabilisce che il lascito serve a mantenere il Colosimo e i suoi ospiti non vedenti. Ma non dice come debba essere amministrato. Il condominio di Roma, i castelli, le ville, le tenute e quant’altro vengono quindi affidati alla Sauie, Società anonima urbana industria edilizia srl, una vecchia scatola creata dal barone proprio per gestire l’immobile di via Panama, che passa anch’essa sotto il controllo della Regione Campania e diventa la stanza dei bottoni per amministrare un patrimonio di centinaia di milioni di euro Quale però sia il rendimento di questo incredibile tesoro, è un capitolo a parte All’inizio degli anni Duemila inizi una battaglia a suon di interrogazioni condotta da un consigliere regionale di An, in seguito passato all’Udc, Salvatore Ronghi. Denuncia che l’Istituto per i ciechi ha ricevuto per vent’anni soltanto le briciole: 600 milioni di lire l’anno, per giunta soldi versati dagli enti locali e non proventi dell’eredità Quintieri. Che le pigioni sono ridicole, e porta l’esempio di un appartamento di cinque stanze al piano nobile di via Partenope affittato per anni a 85.535 lire al mese Che «a seguito di tale, a dir poco, disinvolta amministrazione », gli eredi della famiglia Quintieri hanno fatto causa per rientrare in possesso dei beni «così malamente utilizzati».
Ma Ronghi non si ferma a questo. Chiede di conoscere come sono gestite le aziende agricole, e perché 38 ettari di terreno in quella laziale sono stati affittati alla società Aviocaipoli, per realizzare una pista di volo per aerei ultraleggeri, a un canone provvisorio di 5 mila euro l'anno. Chiede di sapere il motivo per cui si spendono centinaia di migliaia di euro di consulenze. Chiede chiarimenti sulla lievitazione dei costi di alcuni appalti per sistemare locali. E cita come esempio di gestione «fallimentare » un fatto incredibile: la vendita di 30 mila bottiglie di vino Doc prodotto dall’azienda agricola marchigiana al prezzo di un euro l’una, «a fronte di un valore che va da 5,50 a 12 euro, con una perdita secca di 200 mila euro». Un quadro, quello dipinto da Ronghi stupefacente. Condito da una quantità incredibile di particolari sconcertanti, come quello di un presunto furto di 37 vacche dalle stalle di Passerano, dove secondo un’altra sua interrogazione presentata a febbraio del 2009 sarebbero morti «oltre cento capi di bestiame». Magari i suoi sospetti sulla evaporazione di alcuni beni erano esagerati . Ma è difficile da credere che un privato avrebbe gestito peggio di così tutto questo ben di Dio. E l’Istituto Colosimo, con i suoi ospiti non vedenti, sarebbe letteralmente coperto d’oro. Sapete quanti sono oggi i ciechi per i quali viene giustificata l’esistenza in vita della società immobiliare della Regione, con i suoi amministratori, il collegio sindacale, i dirigenti, i dipendenti, i contabili, le aziende agricole, i castelli, i 52 appartamenti dei Parioli, le pratiche burocratiche, gli appalti e gli scontri furiosi in consiglio regionale? Sono quarantasette, dei quali appena trentuno a convitto.
giovedì 16 aprile 2009
La responsabilità del sindaco nella tutela dell'ambiente.
È ampiamente noto agli amministratori degli enti locali come il D.lgs 18 agosto 2000 n. 267 - Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali - abbia armonizzato la copiosa produzione legislativa successiva alla L. 142/90, norma oramai abrogata, ma che costituisce la pietra miliare nella divisione dei poteri tra organi politici e funzionari amministrativi, permettendo una effettiva razionalizzazione del sistema normativo.Il Decreto regola la competenza dei comuni, delle province, città metropolitane, comunità montane, comunità isolane, unioni di comuni e caratterizza il ruolo del sindaco: legale rappresentante, responsabile dell'amministrazione del comune, le sue attribuzioni, i suoi poteri.Emerge come il sindaco abbia delle competenze quale responsabile dell'amministrazione comunale, quale primus inter pares, espressione della collettività che amministra e quale "ufficiale di governo".Egli, direttamente e mediante i propri delegati, ha l'obbligo del controllo affinchè le disposizioni normative e regolamentari siano attuate.La situazione è ancor più aggravata dalla necessità per le amministrazioni locali di adeguare l'azione amministrativa alle disposizioni comunitarie, in particolare alle direttive comunitarie e alle raccomandazioni del Consiglio d'Europa piuttosto che del Parlamento Europeo oramai di immediata applicazione nel diritto interno.Ne consegue la dilatazione del regime di responsabilità per il sindaco e gli amministratori, ma anche per i dirigenti comunali, oramai investiti di funzioni proprie.Responsabilità che, secondo un'interpretazione dell'articolo 28 della Carta Costituzionale, si estende anche alla materia civile, a quella penale e a quella amministrativa.Invero l'articolo 28 della Costituzione recita: "I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo stato e agli enti pubblici".La dottrina e la giurisprudenza ritengono che tale norma, dalla formulazione così generica, visto il riferimento a sia applicabile anche ai sindaci; infatti secondo Cass. 18 febbraio 2000, n. 1890, "l' art. 28 Cost. si applica anche ai soggetti come i sindaci dei comuni, svolgenti funzioni pubbliche senza essere legati all'ente da un rapporto di servizio". Ed a tale proposito la dottrina ha precisato che "Se vi è stata una cattiva gestione dei poteri pubblici , è l'ente pubblico titolare di quei poteri che deve rispondere dei danni cagionati... con ovvia successiva eventuale rivalsa nei confronti del titolare dell'organo, in forza delle norme sulla responsabilità amministrativa. Gli ordini malamente dati con grave negligenza e magari con dolosa malizia, purchè non sconfinanti in un dolo di rilevanza penale, continuano ad essere provvedimenti amministrativi dotati di un'efficacia che deriva non da poteri propri del funzionario agente, ma dai poteri che l'ordinamento attribuisce all'ente pubblico che è, quindi, il vero ed unico responsabile dei danni conseguenti al loro cattivo uso" (Barbieri, "Sulla responsabilità civile diretta dei funzionari", Mass. Giur. Lavoro, n. 6. Giugno 2000, pag. 701; nello stesso senso anche Aimonetto "Le ordinanze del sindaco e dei dirigenti comunali", Maggioli, 2001; Perulli, "La responsabilità civile, penale e amministrativa degli amministratori degli enti locali", Giuffrè, 2000).Tale principio trova oggi ampia applicazione, vista la netta separazione delle attribuzioni del sindaco operata dagli articoli 50 e 54 del T.U., ma era stato già affermato in passato quando, sotto la precedente legislazione, la distinzione tra gli atti del Sindaco quale ufficiale di Governo e quale rappresentante dell'ente locale non era così marcata e bisognava accertare di volta in volta in quale ruolo il sindaco avesse agito: "L' attività svolta dal sindaco non implica automatica responsabilità del Comune per l'adempimento delle conseguenti obbligazioni, atteso che tale organo cumula in sè la qualità di capo dell'amministrazione locale e quella di ufficiale di Governo, con la conseguenza che, al fine dell'imputazione della suddetta responsabilità, occorre verificare, di volta in volta, l'appartenenza dello specifico interesse pubblico perseguito, risultando riferibile l'attività svolta allo Stato o al Comune secondo la titolarità dell'interesse medesimo" (Cass. civ. sez. I, 18.05.1996, n. 4604); "Il Sindaco oltre che come capo dell'amministrazione comunale, svolge alcune attribuzioni quale Ufficiale del Governo e le conseguenze di tali atti sono imputate allo Stato" (Cass. Sez. I, 7.08.1997, n. 7291; cfr. anche Cass. civ. sez. III, 4.01.1994, n. 13; Cass. S.U., n. 12316/1992).Con l'emanazione del D.Lgs. 267/2000, come già affermato, sono state definite ed ampliate rispetto al passato le mansioni svolte dal sindaco in qualità di capo dell'amministrazione locale (tutte le ipotesi delineate dall'art. 50), mentre, quale ufficiale del Governo, egli interviene soltanto quando sia necessario prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini (art. 54 comma II), e nei casi di emergenza, connessi con il traffico e/o l'inquinamento atmosferico o acustico o in altre circostanze straordinarie (art. 54 comma III), in materia di modifica degli orari di esercizi commerciali, pubblici esercizi e servizi pubblici. La conseguenza è, ovviamente, che sono oggi più numerosi i casi di coinvolgimento del Comune, anzichè dello Stato, quale responsabile in solido con il Sindaco, nei giudizi per responsabilità civile promossi dai cittadini per la lesione di diritti soggettivi o interessi legittimi.Premesso che la configurabilità in astratto di una responsabilità penale del sindaco per la sua qualità di legale rappresentante del Comune non significa che gli si debbano addebitare fatti-reato a titolo di responsabilità oggettiva o di responsabilità per fatto altrui: ciò in quanto la responsabilità oggettiva - quale responsabilità per fatto proprio incolpevole - ha un ambito di applicazione molto ristretto, limitato ai casi espressamente previsti dalla legge (art. 42, III comma, c.p.), mentre la responsabilità per fatto altrui non è mai ipotizzabile in materia penale, vigendo il principio di cui all'art 27, I comma, Cost. che sancisce: "La responsabilità penale è personale".Tuttavia, sovente il sindaco, quale figura di vertice dell'Ente territoriale, specie nei Comuni di grandi dimensioni, sarà chiamato a titolo di colpa, per non avere egli adeguatamente vigilato sulle attività dei preposti o e monitorato tutte le diverse situazioni e problematiche che si prospettano quotidianamente nella vita dell'ente (c.d. culpa in vigilando) o per essersi circondato di persone non idonee o incompetenti (c.d. culpa in eligendo) per l'espletamento di funzioni anche di rilevanza penale: l'affermazione della sua responsabilità si baserà, quindi, sulla accusa di avere agito con leggerezza, imprudenza o negligenza, più in generale per l'inosservanza di cautele doverose, e ciò anche quando, di fatto, il sindaco - organo avente funzioni di indirizzo politico/amministrativo - non poteva essere a conoscenza delle singole questioni di carattere pratico o gestionale, come avviene nella generalità dei casi.A tale proposito è bene sottolineare che, specie nei Comuni di grandi dimensioni dove operano una pluralità di funzionari, vige la prassi di delegare funzioni da parte del sindaco ad assessori o dirigenti conformemente a quanto previsto dalla legge o dallo statuto comunale secondo però le specificazioni dettate dalla giurisprudenza di legittimità.Per effetto di tale prassi si sta diffondendo, in tempi più recenti, un indirizzo giurisprudenziale che tende, in presenza di determinate condizioni, ad esentare da responsabilità penale il sindaco che abbia conferito ad altri soggetti operanti all'interno dell'ente territoriale, quali assessori e dirigenti, la delega delle funzioni a lui spettanti. La prassi di delegare funzioni, anche penalmente rilevanti, trova la sua ragion d'essere nella "impossibilità per il sindaco di provvedere in via diretta e personale a tutti gli adempimenti, pubblici e privati, connessi alla carica", cosicché "la ripartizione di competenze è in re ipsa" (Cass. 7.07.1989, Auricchio.)Si tratta per lo più di reati di natura contravvenzionale previsti dalla normativa in materia ambientale, e consistenti nel mancato rispetto di obblighi che la legge pone a carico (dello Stato, della Regione e) dei Comuni in ragione del ruolo da questi svolto di primi garanti della tutela della salute dei cittadini attraverso una efficace attività di tutela dell'ambiente.Sul tema che qui occupa, del ruolo del Comune in tema di bonifiche dei siti inquinati, deve rammentarsi che la amministrazione comunale ha il compito di diffidare il responsabile dell'inquinamento a provvedere agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento (art. 17, comma 3); di approvare il progetto ed autorizzare la realizzazione degli interventi, indicando eventuali modifiche ed integrazioni del progetto, fissando i tempi di esecuzione dello stesso (art. 17, comma 4); infine, e si tratta di una prescrizione importante, è il Comune stesso incaricato dalla legge di provvedere d'ufficio agli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale qualora non vi provveda o non sia individuabile il responsabile dell'inquinamento (comma 9).Le violazioni connesse all'obbligo della bonifica dei siti inquinati sono disciplinate dall'art 51 bis del decreto in questione, che indica le sanzioni applicabili nei confronti di "Chiunque cagiona l'inquinamento o un pericolo concreto ed attuale di inquinamento previsto dall'art 17 comma 2 è punito con l'arresto ... e con l'ammenda... se non provvede alla bonifica secondo il procedimento di cui all'art 17 ...".Tutto il sistema previsto dall'art 17 rientra nella comminatoria dell'art 51 bis: ciò significa che è sanzionata l'omessa bonifica, vale a dire il mancato ottemperamento alle numerose disposizioni dell'art. 17, da "chiunque" realizzata, non potendosi quindi escludere dall'ambito di applicabilità della medesima norma neppure il Comune (alias, il sindaco), qualora questi non si attivi al fine di provvedere alla bonifica del terreno inquinato nel caso di inerzia o mancata identificazione del responsabile dell'inquinamento.Pertanto sul sindaco, quale legale rappresentante del Comune, grava l'obbligo di procedere alla bonifica dei siti contaminati, attivando a tal fine gli uffici competenti, salvo poi rivalersi nei confronti del responsabile dell'inquinamento per ottenere la restituzione delle somme spese secondo le norme civili ed amministrative, fermo restando che, accertata la responsabilità penale, potrà essere irrogata nei suoi confronti la sanzione penale detentiva e/o pecuniaria non solo nelle ipotesi in cui l'inquinamento sia stato cagionato dallo svolgimento di attività comunali, ma altresì nei casi in cui gli organi del Comune, resi edotti della situazione di inquinamento, non si siano attivati applicando la procedura dettata dall'art 17 del decreto Ronchi.L'applicabilità della disciplina prevista dall'art 17 ai legali rappresentanti degli enti locali è stata affermata in più occasioni dalla giurisprudenza di legittimità che ha affermato la necessità che siano in primo luogo gli amministratori pubblici a rendersi garanti della tutela della salute e dell'ambiente; infatti, escludere il Comune, nella persona del sindaco, dall'ambito di applicabilità di detta normativa, sottoponendovi soltanto il privato, significherebbe legittimare la violazione del diritto alla salute e del principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione (così Cass. III penale, 13.01.1999, n. 280, Palascino, che a sua volta richiama i principi già espressi sul punto da Cass. III, 4.11.1987, n. 12251, Francucci).
venerdì 3 aprile 2009
QUANDO IL SILENZIO DELL'AMMINISTRAZIONE COMUNALE LEDE IL DIRITTO DEL CITTADINO!
Roma, 2 apr. (Adnkronos) -
Giro di vite sui dipendenti pubblici che, con il loro silenzio o con risposte date in ritardo, non danno risposte immediate alle richieste del cittadino. La Cassazione ha infatti convalidato la condanna per omissione in atti d'ufficio nei confronti di un ingegnere del Comune di Castelvetrano, Antonino S., addetto ai servizi tecnici, colpevole di non aver dato una risposta alla formale richiesta di una cittadina, Giuseppa C. che, in quanto destinataria di un provvedimento di espropriazione, aveva chiesto al tecnico di prendere visione dell'atto di cessione al Comune da parte della Regione Siciliana di aree destinate alla realizzazione di un parcheggio.
Nonostante la signora avesse fatto una richiesta formale il 13 aprile del 2000, Antonino S. non le aveva mai dato una risposta esauriente. Da qui la denuncia e la condanna dell'ingegnere per omissioni di atti d'ufficio sancita dal Tribunale di Marsala, dalla Corte d'Appello di Palermo e oggi dalla Cassazione.
Scrivono i supremi giudici della VI sezione penale (sentenza 14466) che rischia una condanna per omissione di atti di ufficio punito dall'art. 328 c.p. il dipendente della Pubblica amministrazione che nei confronti del cittadino temporeggia davanti alle sue richieste o resta in silenzio.
''Resta ingiustificato - scrivono gli 'ermellini' - il silenzio omissivo del pubblico ufficiale perche', nell'economia del delitto di cui all'art. 328 c.p., una volta individuato l'interesse qualificato alla conoscenza da parte del richiedente, anche la risposta negativa dell'ufficio adito, in termini di indisponibilita', oppure di parziale disponibilita' della documentazione richiesta, fa parte del contenuto dell'atto dovuto al cittadino, il quale, sull'informazione negativa, puo' organizzare la sua strategia di tutela, oppure rinunciare in modo definitivo ad ogni diversa sua pretesa''.
La severita' della norma, aggiunge Piazza Cavour, e' ''posta a tutela del privato ed e' strutturata in modo da impedire sacche di indebita inerzia nel compimento di atti dovuti''.
Sulla stessa lunghezza d'onda anche la Corte d'Appello di Palermo che, il 21 marzo 2006 aveva confermato la condanna per omissione di atti d'ufficio nei confronti dell'ingegnere comunale.
Inutile il suo ricorso in Cassazione volto ad attenuare il suo silenzio colpevole: Piazza Cavour ha respinto il ricorso avvertendo che d'ora in avanti ''il silenzio omissivo del pubblico ufficiale'' o gli eventuali ritardi nelle risposte al cittadino si pagheranno a caro prezzo.
Giro di vite sui dipendenti pubblici che, con il loro silenzio o con risposte date in ritardo, non danno risposte immediate alle richieste del cittadino. La Cassazione ha infatti convalidato la condanna per omissione in atti d'ufficio nei confronti di un ingegnere del Comune di Castelvetrano, Antonino S., addetto ai servizi tecnici, colpevole di non aver dato una risposta alla formale richiesta di una cittadina, Giuseppa C. che, in quanto destinataria di un provvedimento di espropriazione, aveva chiesto al tecnico di prendere visione dell'atto di cessione al Comune da parte della Regione Siciliana di aree destinate alla realizzazione di un parcheggio.
Nonostante la signora avesse fatto una richiesta formale il 13 aprile del 2000, Antonino S. non le aveva mai dato una risposta esauriente. Da qui la denuncia e la condanna dell'ingegnere per omissioni di atti d'ufficio sancita dal Tribunale di Marsala, dalla Corte d'Appello di Palermo e oggi dalla Cassazione.
Scrivono i supremi giudici della VI sezione penale (sentenza 14466) che rischia una condanna per omissione di atti di ufficio punito dall'art. 328 c.p. il dipendente della Pubblica amministrazione che nei confronti del cittadino temporeggia davanti alle sue richieste o resta in silenzio.
''Resta ingiustificato - scrivono gli 'ermellini' - il silenzio omissivo del pubblico ufficiale perche', nell'economia del delitto di cui all'art. 328 c.p., una volta individuato l'interesse qualificato alla conoscenza da parte del richiedente, anche la risposta negativa dell'ufficio adito, in termini di indisponibilita', oppure di parziale disponibilita' della documentazione richiesta, fa parte del contenuto dell'atto dovuto al cittadino, il quale, sull'informazione negativa, puo' organizzare la sua strategia di tutela, oppure rinunciare in modo definitivo ad ogni diversa sua pretesa''.
La severita' della norma, aggiunge Piazza Cavour, e' ''posta a tutela del privato ed e' strutturata in modo da impedire sacche di indebita inerzia nel compimento di atti dovuti''.
Sulla stessa lunghezza d'onda anche la Corte d'Appello di Palermo che, il 21 marzo 2006 aveva confermato la condanna per omissione di atti d'ufficio nei confronti dell'ingegnere comunale.
Inutile il suo ricorso in Cassazione volto ad attenuare il suo silenzio colpevole: Piazza Cavour ha respinto il ricorso avvertendo che d'ora in avanti ''il silenzio omissivo del pubblico ufficiale'' o gli eventuali ritardi nelle risposte al cittadino si pagheranno a caro prezzo.
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